E’ notizia di pochi giorni orsono che il Comitato Nazionale in composizione allargata ha votato per la modifica di alcune norme interne, sancendo un passo indietro rispetto a quanto deciso nel 2010.
Il prossimo passaggio sarà l’approvazione del Consiglio Federale per poter procedere alla riunificazione della CAN A e della CAN B, negli ultimi dieci anni divise in due commissioni indipendenti.
Ovviamente, come accade in questi casi, si tratta di un passaggio semplicemente procedurale dato che un accorto in merito era già stato raggiunto in precedenza tra AIA e FIGC, sulla base di una necessità tecnica prima ancora che sportiva.

Dieci anni fa, nella sorpresa generale, iniziò un periodo piuttosto travagliato della storia dell’Associazione, a seguito di una sorprendente intervista di Pierluigi Collina (allora designatore della CAN A/B) del dicembre 2009 alla Gazzetta dello Sport, nella quale si annunciava l’ipotesi che, alla fine di quella stagione, gli arbitri sarebbero stati separati in due Commissioni differenti.
A stretto giro di posta, sulle pagine del medesimo quotidiano, Nicchi (già allora presidente dell’AIA) rispose che non se ne parlava nemmeno, che si trattava di un’ipotesi vagliata da alcune componenti ma che non avrebbe avuto un seguito.

Dopo circa due mesi, però, lo stesso presidente Nicchi, al termine di un consiglio di Lega tenutosi a Milano, annunciò che alla fine della stagione 2009/2010 la CAN A/B sarebbe stata divisa in due e che sarebbero state create due commissioni separate, una dedicata agli arbitri di Serie A ed un’altra alla Serie B.

Questa decisione non generò grandi discussioni.
Anzi, al di fuori dell’Associazione venne accolta con una sorta di disinteresse, probabilmente perché (come spesso accade) i mass media sono poco propensi ad approfondire una tematica di tale complessità e che (colpevolmente) non interesse a chi legge di sport.

Sappiamo tutti (o quasi) che gli arbitri non sono al centro dell’attenzione e che diventano protagonisti delle cronache sportive o di qualche intemerata politica solo nel momento in cui commettono un errore od un presunto tale.

La dimostrazione evidente di quel che affermo lo stiamo vivendo proprio in questo momento: stagione conclusa da un paio di settimane, non una riga sul mondo degli arbitri, nonostante sia in corso una rivoluzione di non poco conto.
Più che una rivoluzione, peraltro, si tratta di una clamorosa retromarcia perché, di fatto, non è alle viste alcuna innovazione ma un ritorno al passato dato che, dal primo settembre 2020, si tornerà indietro di dieci anni, al primo luglio 2010, giorno in cui videro la luce le prime CAN A e CAN B.

Più che di luce, peraltro, si dovrebbe parlare più correttamente di penombra.
Se all’esterno dell’Associazione nessuno o quasi fece caso a quella scelta, all’interno della stessa le discussioni in merito furono subito feroci, dato che le persona più razionali non capirono per quale motivo si scelse di abbandonare una struttura che per decenni aveva “prodotto” arbitri di eccezionale valore e che avevano consentito all’Italia di proporre all’estero direttori di gara straordinari come Collina, Messina, Braschi, Farina, Rizzoli stesso. “Figli” della struttura pre-2010 sono anche gran parte degli arbitri che hanno tenuto in piedi la Serie A negli ultimi anni: Orsato, Rocchi, prima ancora Tagliavento, Morganti, Damato, Brighi.

Mi onora sapere che molte persone mi seguono da anni e sono proprio loro i testimoni del fatto che, fin dal primo momento, sono stato un convinto sostenitore dell’errore commesso nel 2010, peraltro con una successione di fatti che ancora oggi non trovano un’adeguata spiegazione.

Una domanda rimane sospesa dal 2010: per quale motivo il Comitato Nazionale decise di dividere CAN A e CAN B? Per quale motivo Nicchi scelse di contraddirsi nel giro di due mesi scarsi, prima dichiarando che la divisione non ci sarebbe stata e poi annunciandola egli stesso?

Ad oggi una risposta reale non l’abbiamo mai avuta.
Forse perché nessuno, pubblicamente, ha mai posto una domanda specifica in tal senso a Nicchi, preferendo ascoltare sempre le stesse risposte a quesiti basati sull’errore (vero o presunto) di questo o quell’arbitro.

Dopo dieci anni da quella divisione, accompagnata da domande rimaste senza risposte, è lo stesso Nicchi che ha voluto velocizzare la controriforma, riportando la massima espressione dell’AIA al passato.
Quali sono state le conseguenze tangibili, concrete, evidenti di questa decade?
Per quanto non abbia mai lesinato sulla difesa della categoria (in particolare battendomi in prima linea contro teorie complottare, aiuti a questa o quella società, sciocchezze su presunti legami tecnici ed economici tra associazione e sponsor), allo stesso tempo non ho potuto che constatare un tracollo tecnico che è oggettivamente impossibile non evidenziare.
Affermare che la qualità media degli arbitri sia oggi pari se non superiore a quella del 2010 assomiglia tanto ad una bestemmia.
Basti vedere i nomi degli arbitri che nel 2010 facevano parte di quell’ultima commissione unica: Morganti, Brighi, Bergonzi, De Marco, Rizzoli, Tagliavento, Rocchi, Orsato, Damato, Banti.
Sono solo alcuni nomi che, ovviamente, vennero inseriti nella prima CAN A e che, nel tempo, hanno abbandonato l’attività per limiti d’età o di permanenza.
Senza essere sostituiti tecnicamente ma solo numericamente.
Nel 2010, per i big match, il designatore poteva scegliere tra 7/8 nomi, in quest’ultima stagione i nomi proponibili erano sì e no 3 o 4: non è certo un caso la sottolineatura ripetuta più volte che Rizzoli abbia dovuto fare letteralmente i salti mortali per riuscire a concludere il campionato.
Certo, anche Rizzoli ha commesso qualche errore (e ci mancherebbe, sempre di un essere umano stiamo parlando…) ma è oggettivo che il materiale umano e tecnico a sua disposizione sia oggi di livello inferiore a quello di cui era parte.
Non può certo essere un caso che ancora oggi, ad una decade di distanza, la graduatoria della CAN A sia stata letteralmente dominata numericamente da Rocchi ed Orsato, i due veterani della Serie A.
Non è un caso che la UEFA avrebbe gradito un’ulteriore deroga a Rocchi per la mancanza di alternative valide italiane.
Non è un caso che Orsato sia (perlomeno ad oggi) l’unica vera possibilità per l’Italia di avere un arbitro per i Mondiali del 2022 (in caso contrario sarebbe la prima volta senza nostri rappresentanti).

Insomma, che la divisione della CAN A/B sia stato un fallimento tecnico, è evidente a chiunque non giri per strada con un fetta di prosciutto da mezzo chilo per occhio.

Per quale motivo questa divisione è stato un fallimento?
In realtà non è per nulla complesso comprenderlo.
Fino al 2010 la commissione unica permetteva la possibilità di alternare gli arbitri tra Serie A e Serie B, senza alcun vincolo di sorta.
Un giovane veniva impiegato nella serie cadetta e, ogni tanto, inserito nella massima categoria. Esordiva e poi tornava in B per gare con coefficiente di difficoltà maggiore, accumulava esperienza per poi inserirsi con più costanza in A.
In tal modo poteva affacciarsi in Serie A un paio di volte nel primo anno, 6/7 volte nel secondo, una decina al terzo e poi cominciare a lottare per un posto da internazionale.
Gli errori c’erano anche allora, ovviamente: coloro che incappavano in giornate storte in Serie A potevano scendere di categoria, essere tenuti lontani dalle luci della ribalta, ricaricare le batterie, riprendere fiducia in se stessi, cimentarsi in qualche partita di Serie B di medio/alto livello, tornare nelle condizioni psico/fisiche migliori in A.

Tutte ipotesi divenute impossibili con la scelta (senza alcun senso) di dividere A e B nel 2010: rivoluzionare un sistema che aveva funzionato per decenni non aveva senso allora, non ha senso oggi nella valutazione dell’esperienza.

Dieci anni dopo, per fortuna, Nicchi ha avuto un moto di coraggio: ammettere che la scelta da egli stesso compiuta doveva essere rivista e che era necessario tornare indietro.
Sintomatica una frase contenuta nel comunicato ufficiale pubblicato sul sito dell’Associazione: “L’importante riforma regolamentare (…) favorirà la crescita dei giovani grazie a(d) una sana competizione interna”.
Affermazione sibillina ma che, implicitamente, sottolinea che in queste ultime stagioni non c’è stata crescita dei giovani e (soprattutto) è mancato qualsiasi tipo di competizione interna.
A dimostrazione dell’ultima affermazione un dato incontrovertibile: negli ultimi dieci anni, cioè quelli durante i quali vi è stata divisione delle Commissioni, sono stati dismessi venti arbitri, dei quali solo sei per normale avvicendamento e ben quattordici per limiti di permanenza o d’età. Addirittura, negli ultimi cinque anni, solo un arbitro è stato dismesso per motivi tecnici: Gavillucci.
E, come sappiamo, è una vicenda che non è nemmeno lontanamente chiusa…

Ma per quale motivo Nicchi ha ammesso proprio adesso il fallimento tecnico di quella scelta?
La risposta è quasi banale: le imminenti elezioni.
Non è certo un mistero che Trentalange, per undici anni fidato alleato di Nicchi, stia organizzando la cordata per tentare di sconfiggere l’attuale presidente alla prossima tornata elettorale: non penserete che sia un caso che, dopo undici nomine consecutive, Trentalange sia stato sostituito da Trefoloni come responsabile del Settore Tecnico, vero?
Chiaro, quasi nessuno fuori dall’AIA ne è a conoscenza ma la politica esiste anche tra gli arbitri.
Ebbene, uno dei cavalli di battaglia di qualsiasi cordata alternativa sarebbe stata proprio la riunificazione della CAN A/B perché è ormai sotto gli occhi di tutti l’impoverimento qualitativo.

Ovviamente si tratta di una mossa politicamente molto intelligente ma che non nasconde le responsabilità di quanto accaduto.
E non bastano certo le dichiarazioni di stile per nascondere l’amarissima verità: dieci anni fa avevamo ben quattro arbitri nella categoria Elite UEFA (Rizzoli, Tagliavento, Rocchi, Orsato), oggi ne è rimasto solo uno (Orsato, 44enne), Massa e Guida arrancano il Category 1 con pochissime possibilità di accedere alle selezioni mondiali.
Un disastro tecnico che una retromarcia tardiva non potrà certo essere nascosto sollevando un tappeto…

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

 

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