Come già abbiamo avuto modo di accennare nelle scorse settimane, uno dei più immediati problemi da affrontare per Rizzoli e per la nuova commissione della CAN riunificata sarà rappresentato dai calci di rigore che, nella scorsa stagione, sono saliti fino alla cifra record di 186.
Un numero mostruoso che rappresenta un incremento di circa il 50% rispetto alle stagioni precedenti e che eleva il nostro campionato ben oltre la soglia media dei campionati europei più importanti.
Per rendersi conto della criticità evidente, confrontiamo la Serie A con i maggior campionati europei (ad esclusione della Ligue 1 francese il cui dato non è utilizzabile dato che la stagione è stata interrotta a marzo):

Premier Legue: 80 calci di rigore in 380 partite
Bundesliga: 91 calci di rigore in 306 partite (campionato a 18 squadre)
Liga: 129 calci di rigore in 380 partite

Se lo scostamento fosse stato di una percentuale attorno al 10%, avremmo potuto affrontare il discorso con una certa leggerezza, qualificando la differenza come casuale o per la particolarità del calcio italiano.
Purtroppo, però, la questione è molto più complessa.
In Italia i rigori fischiati sono il doppio rispetto alla Germania, più del doppio rispetto all’Inghilterra e un buon 50% in più rispetto alla Liga Spagnola.

Difficile indicare una causa specifica.
Certamente la riunificazione della CAN A e della CAN B, con un ritorno alla struttura del 2009/2010, ci offre un indizio importante.
Nicchi, dopo aver scelto di dividere gli arbitri in due distinti gruppi nel 2010, si è reso conto dell’errore.
È indubbio che quella scelta, contestata da quasi tutto il mondo AIA e poi mal sopportata per dieci anni, ha mostrato fin da subito gravi conseguenze.
Non è certo un caso che, dal 2010 ad oggi, si contino sulla punta delle dita di una mano gli arbitri che siano arrivati ed imposti ai massimi livelli in Serie A: Guida, Maresca.
Fine.
E non stiamo parlando di arbitri che siano imposti in campo nazionale ed internazionale, anzi: Guida ha trovato una continuità di rendimento negli ultimi 4 anni ma solo una gara (per ora) di Champions’ League, Maresca è riuscito ad ottenere il “passaporto” internazionale da nove mesi scarsi.
È chiaro che la qualità media, scaduta oggettivamente anno dopo anno, si riverbera anche nelle scelte tecniche in campo, con una serie di massime punizioni che possono al limite essere considerate televisivamente accettabili ma che, nel gioco del calcio, non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.
D’altronde in Inghilterra, in Germania, in Spagna si gioca con le medesime regole, perciò un motivo alla base di numeri tanto diversi deve per forza esserci.

Molti hanno ipotizzato che esistano enormi problemi sui tocchi/falli di mano.
Anche questa è una falsa leggenda.
Se togliamo dal totale i 52 rigori assegnati per tocchi di mano punibili, il totale residuo è pari a 134.
Un numero che rimane superiore a tutti gli altri campionati (senza alcuna distinzione di fattispecie). Solo questo dato dovrebbe chiarire che i tocchi di mano punibili appartengono ad una discussione più legata all’interpretazione del regolamento che ai numeri assoluti.
Per quanto mi riguarda sono convinto che i calci di rigore per falli di mano non avranno una diminuzione od un aumento degno di nota.
La causa principale di questi episodi, a mio avviso, non deve essere ricercata nella severità eccessiva dei direttori di gara o, peggio, nell’assurda teoria del regolamento modificato o non comprensibile.
Proprio per soffermarsi sull’ultima linea di pensiero, è utile ribadire un paio di concetti fondamentali:
- le norme sui tocchi/falli di mano e le linee interpretative non sono state minimamente modificate negli ultimi quindici anni. Semplicemente l’IFAB ha modificato la definizione della fattispecie per rendere la stessa più fruibile al grande pubblico, oggettivizzando una disciplina che era troppo sintetica nel vecchio regolamento;
- il regolamento e le linee interpretative sono chiarissime. Chi non ha ancora capito come “leggere” tali episodi o non ci ha mai capito nulla oppure non ha mai studiato una riga del regolamento. Oppure (ma non voglio crederlo) volutamente crea confusione strumentale. Naturalmente sono corollari abbastanza ovvi relativi al concetto base espresso nel primo punto.

Certo, non possiamo negare che tale confusione sia stata, purtroppo, determinata anche dal presidente degli arbitri Nicchi che, alla prima giornata della scorsa stagione, si lasciò andare a valutazioni sorprendenti sul “nuovo” regolamento in materia. Per fortuna Rizzoli, con una certa classe, lo smentì clamorosamente qualche mese dopo ma il danno era ormai stato fatto.
È l’annosa questione dei ruoli: la tecnica deve essere dei tecnici, i dirigenti si devono occupare dell’amministrazione del movimento.
Eppure ho come il timore che, nei prossimi mesi, vedremo Nicchi ancora più presente tra giornali, radio e televisioni. Ma questo è un altro argomento.

Torniamo ai calci di rigore, in particolare ai falli di mano.
Perché accadono così tanti episodi in Italia?
La mia tesi è che ciò sia determinato dalla scadente qualità media dei calciatori.
Prendiamo i migliori difensori italiani: Bonucci, Skriniar, Romagnoli, Smalling, Koulibaly, Acerbi. Ricordate un singolo calcio di rigore provocato da questi giocatori?
La risposta è no, per il semplice motivo che i migliori calciatori sono anche atleti dotati di coordinazione superiore alla media e difficilmente perdono il controllo delle braccia saltando o frapponendosi ad una conclusione verso la porta.
Non è certo un caso che, nelle fasi finali delle coppe europee, non sia stato fischiato nemmeno un calcio di rigore per tocco di mano, così come non è casuale che (purtroppo) le squadre italiane in Champions’ League si siano fermate tutte tra ottavi e quarti di finale.
Solo l’Inter ha raggiunto la finale di Europa League per poi soccombere contro la quarta della Liga Spagnola.
Anticipo l’obiezione: De Ligt ha toccato molte volte il pallone con le mani in area l’anno scorso. Vero ma non dimentichiamoci che l’olandese ha vent’anni, i difensori citati in precedenza sono tutti vicino od oltre la soglia dei trent’anni.

La finale di Champions’ League è stata molto importante per tanti motivi.
Al di là della soddisfazione di vedere Orsato in campo (ma non si pensi che questo sia un segnale di buona salute, il veneto era in Serie A prima della divisione della CAN e prima ancora dell’elezione al soglio presidenziale di Nicchi), c’è stato un episodio molto importante e che dovrà essere sfruttato nel migliore dei modi possibile.
Non tanto in campo internazionale (nel quale certi contatti non vengono nemmeno presi in considerazione, giustamente) ma soprattutto in campo nazionale.
Molti ricorderanno la protesta di Mbappé per il contatto in area con Kimmich. In Italia alcuni hanno gridato al rigore, altri allo scandalo, altri ancora all’assurdità del non intervento del VAR, tanto per sollevare polveroni inutili.
In Francia, sui giornali sportivi e generalisti, il giorno dopo non c’era alcun riferimento all’episodio, così come in Germania nemmeno un accenno al contatto alla fine del primo tempo tra Kehrer e Coman.
Addirittura a fine partita neppure Mbappé ha detto una parola in merito, così come allenatori e dirigenti del Paris Saint Germain.
Quanto accaduto nella finale deve rappresentare la linea di demarcazione: il rigore è “una roba seria” e deve essere assegnato solo in presenza di irregolarità evidenti, non certo per contattini accentuati enormemente.
Nei prossimi giorni, dal 12 al 18 settembre, si svolgerà il consueto raduno di inizio stagione. Raduno molto particolare dato che viviamo ancora in piena emergenza COVID ma che sarà giocoforza incentrato sui calci di rigori.
Rizzoli non ha un compito facile: dovrà far comprendere ai suoi arbitri che c’è una grande differenza tra i calci di rigore ed i contatti televisivi.
Non si dovrà avere paura: bisognerà affermare, anche pubblicamente se necessario, che l’area di rigore è una zona del campo nella quale si entra per costruire un’azione pericolosa per le difese e non per cercare un minimo sfioramento per ottenere un calcio di rigore.
Non sarà facile perché il designatore è consapevole che sono già centinaia i fucilieri televisivi pronti a gridare allo scandalo per rigorini non fischiati a seguito di contattini che non farebbero perdere l’equilibrio nemmeno ad un bambino. La forza di Rizzoli dovrà essere questa: imporre agli arbitri di ricominciare a dirigere il gioco del calcio e non uno sport diverso come l’anno scorso, più simile ad un videogame.

Il consiglio non richiesto?
Al di là del fatto che avrà a disposizione non più 21 arbitri ma ben 48 (un numero spropositato ma conseguenza della confusione di Nicchi su regolamenti e deroghe), nelle prime due giornate sarebbe preferibile designare gli arbitri che, nell’ultima stagione, hanno fischiato il numero minore di calci di rigore.
Maresca, Mariani, Doveri, Calvarese, Piccinini, altri ancora hanno un’asticella piuttosto alta.
Una volta indicate delle linee guida uguali per tutti, le prime giornate saranno fondamentali per tracciare una demarcazione (anche mediatica) tra ciò che deve essere sanzionato e ciò che deve essere valutato come nei limiti del regolamento.
Naturalmente ciò dovrà essere accompagnato anche da una propositiva opera comunicativa: dovrà essere Rizzoli a presentarsi davanti alle telecamere con il coraggio di ammettere errori di valutazione, utilizzando gli episodi per spiegare a giornalisti, opinionisti, semplici appassionati i limiti tra una fattispecie regolare ed una irregolare.
Difficile?
No, molto facile.
Sempre che sia interesse dell’AIA spiegare e non ci si limiti a voler apparire per motivi più o meno personali...

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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