Ha creato molte discussioni il gesto dell’assistente Sovre a margine del quarto di finale di Champion's League tra Manchester City e Borussia Dortmund. L’assistente di Hategan, al termine della gara e nel sottopassaggio che porta agli spogliatoi, ha fermato l’attaccante degli ospiti Haaland chiedendogli di autografare i cartellini.

La spiegazione di Sovre

In questa sede ho interesse molto limitato sul motivo alla base della richiesta dell’assistente rumeno: lo riporto come puro dato di cronaca ma che non avrà alcuna rilevanza ai fini della riflessione che vorrei instaurare coi lettori.
In sostanza Sovre ha dichiarato che quegli autografi saranno messi all’asta ed il ricavato verrà devoluto ad una associazione che si occupa di persone affette da autismo.
Per carità, un gesto nobile.
Ma la sostanza non cambia.

I precedenti

Per rimanere alla stagione corrente, si segnalano due episodi molto differenti da quello avvenuto nell’ultimo turno di Champions ma che sono perfetti per il tema di cui mi occuperò in questo approfondimento.

Durante l’ultima pausa dedicata alle nazionali, la gara tra Serbia e Portogallo è stata caratterizzata da una rete fantasma realizzata da Cristiano Ronaldo e non assegnata dall’arbitro olandese Makkelie. Nella circostanza, come tutti sappiamo, il secondo assistente Djks non vide il pallone oltre la linea di porta e lasciò proseguire il gioco, senza segnalare nulla all’arbitro.
In mancanza di Goal Line Technology, la rete (con ogni probabilità realizzata, anche se un minimo margine di dubbio rimane, considerando quanto possa essere ingannevole la prospettiva) non venne concessa, con conseguenti polemiche roventi sia a fine gara (Ronaldo, dopo il triplice fischio di Makkelie, gettò a terra la fascia di capitano) che nella conferenza stampa (con l’allenatore del Portogallo che riportò le parole di Makkelie).
Ebbene, proprio dalle parole dell’allenatore del Portogallo abbiamo saputo che, nel post gara, il direttore di gara Makkelie si è scusato per l’errore con la delegazione portoghese.

Un paio di giorni fa è stata resa nota una lettera scritta dal designatore della UEFA Roberto Rosetti proprio in merito a questi due avvenimenti.
Conoscendo Rosetti, sono praticamente certo che non sia stato casuale che la missiva sia stata inviata anche ad un giornalista: la sensazione, netta, è che Rosetti volesse che il contenuto della mail fosse ben conosciuta a tutti, come una sorta di “allerta generale”.

Sul contenuto tornerò più tardi.
Adesso è il momento di tornare un attimo in Italia.

Udinese-Inter e Maresca

Tutti ricorderanno quanto accaduto alla fine della partita Udinese-Inter, con la frase dell’arbitro Maresca intercettata dalle telecamere a bordo campo, mentre giocatori e direttori di gara tornavano negli spogliatoi: “Bisogna accettare quando non si vince”.
Come potrete notare si tratta di episodi totalmente differenti l’uno dall’altro.
Per quale motivo, dunque, li ho citati all’interno di un approfondimento tecnico arbitrale?

I più attenti e fedeli lettori ricorderanno che, nei primi articoli pubblicati su questo smart blog, l’argomento si incentrò proprio sui comportamenti che gli arbitri sono tenuti a mantenere prima, durante e dopo la disputa di una qualsiasi competizione, sia essa una gara di esordienti oppure la finale dei Mondiali.
Regole semplici ma che diventano fondamentali affinché qualsiasi scelta sia accolta, sulla base di un’autorevolezza che si dimostra non solo sul terreno di gioco ma anche (se non soprattutto) a “bocce ferme”.

Non dimenticherò mai di ricordare, a costo di diventare noioso, un grande insegnamento di un associato toscano: “di un errore spesso ci si dimentica dopo due giorni ma della prima impressione al primo incontro ci si ricorda per anni. E’ così per una coppia sposata da 40 anni che ancora ricorda il primo incontro, è così per un dirigente che vede per la prima volta un direttore di gara che si presenta allo stadio”.

Nulla di più vero.
E’ per questo motivo che gli arbitri devono tenere a mente tre consigli che sono stati fondamentali per la mia crescita:
- arrivare sempre in largo anticipo (almeno un’ora prima della gara per avere tutto il tempo di prepararsi con comodo);
- presentarsi sempre in ordine (ovviamente non si chiede giacca e cravatta nei giovanissimi, ciò che potrebbe apparire anche latamente ridicolo);
- entrare in campo con la divisa immacolata e le scarpe lucidate (per mostrare assoluto rispetto nei confronti delle società e delle persone che hanno lavorato in settimana per l’organizzazione dell’evento).

La lettera di Rosetti

Per quanto il livello della competizione sia completamente differente, i canoni di comportamento sono fondamentali sia nei giovanissimi provinciali che in un quarto di finale di Champions’ League.

Rosetti, infatti, non ha condannato il motivo per cui Makkelie ha parlato con l’allenatore del Portogallo e non ha neanche censurato la giustificazione di Sovre in merito all’autografo di Haaland.

Allo stesso modo nemmeno Rizzoli se l’è presa particolarmente con Maresca per quella frase proferita alla fine di Udinese-Inter (ed infatti l’arbitro campano esce con regolarità, grazie a prestazioni di altissimo livello, in Serie A, senza essere stato minimamente penalizzato per quella infelice “uscita”). Detto ciò, però, Maresca non si azzarderà più a lasciarsi andare a tali affermazioni né durante la partita né a fine gara uscendo dal terreno di gioco.
Magari potrà dire una frase simile negli spogliatoi parlando a quattr’occhi con un dirigente (ma non farà nemmeno questo) ma certamente presterà maggior attenzione a quel che può essere intercettato dalle telecamere.
Perché, alla fine, Maresca non ha detto chissà che cosa: non ha insultato nessuno, non ha proferito un’espressione offensiva nei confronti di nessuno, non ha violato alcun codice etico. Semplicemente poteva e doveva evitare di parlare in campo, esponendo un concetto facilmente fraintendibile.
Ed infatti taluni “commentatori” ed “opinionisti” non hanno perso l’occasione per rovesciare addosso a Maresca quintali di letame mediatico.

La questione Sovre

Senza entrare nel merito della lettera scritta ed inoltrata da Rosetti ai suoi arbitri, non c’è nulla di male nell’azione dell’assistente rumeno.
La questione è un’altra.
Nell’immediato dopo partita un giornalista inglese ha riversato su Twitter un filmato di quanto accaduto, senza specificare nulla se non rimarcando il fatto che Sovre aveva fermato non casualmente il giocatore maggiormente rappresentativo della squadra tedesca.
Ovvio che, nelle ore successive, sia montata l’indignazione per quanto accaduto, episodio vissuto come una mancanza di rispetto per il ruolo e, soprattutto, per la squadra avversaria.

Non lo nego.
Negli anni in cui ho arbitrato anche a me è accaduto di chiedere (dopo la fine della gara, sempre) un piccolo gadget.
A casa, di questi gadget, non ne ho nemmeno uno.
Se chiedevo un autografo su un gagliardetto o sulla maglia della squadra donataci ad inizio partita, lo facevo solo ed unicamente per richieste particolari: un ragazzo tifoso diversamente abile, un’associazione filantropica per autofinanziarsi in un’asta benefica.
Capitava perché l’autografo della celebrità può valere qualche euro per una buona causa.
Ma c’è modo e modo.
Si aspetta di rientrare negli spogliatoi, si chiede la cortesia ad un dirigente accompagnatore: se è possibile sarà ben felice di essere d’aiuto (soprattutto spiegando bene il motivo di una richiesta), se non è possibile declinerà gentilmente l’invito.
Di certo non deve nemmeno passare per l’anticamera del cervello di fermare, di fronte alle telecamere, un giocatore e farsi firmare un autografo: milioni di persone hanno visto questa scena, solo una minima parte oggi è a conoscenza del reale motivo . E, purtroppo, tra molti anni ci saranno persone che ricorderanno questo gesto e lo qualificheranno come inaccettabile.

Makkelie, Serbia-Portogallo

Episodio diverso, concetto simile.
Un arbitro, a qualsiasi livello, deve ricordarsi sempre un punto fondamentale: i dirigenti pensano prima al proprio tornaconto, sono pronti a sfruttare qualsiasi piccola informazione a proprio vantaggio.
Non sappiamo nemmeno con esattezza quel che ha detto Makkelie all’allenatore del Portogallo. E’ probabile che Makkelie abbia spiegato che “né io né il mio assistente eravamo sicuri che il pallone avesse interamente oltrepassato la linea di porta. Se è così, mi scuso per l’errore”.
Ricordo un episodio simile capitato a me.
Non dirò la partita (eravamo in Sicilia), né le squadre.
A fine gara (terminata 0-1) un dirigente della squadra sconfitta ci avvicinò mentre aspettavamo il taxi e ci disse: “voi siete qui belli sorridenti mentre noi abbiamo perso una partita fondamentale per una rete in fuorigioco”. Ovviamente non c’era il VAR.
L’arbitro rispose: “Guardi, noi siamo tranquilli e sereni perché sappiamo di aver svolto al meglio il nostro lavoro, se dovesse essere accertato che la rete era da annullare mi scuso personalmente per la decisione assunta dall’assistente”.
Il giorno dopo, sul più importante quotidiano nazionale, il titolo di apertura su quella gara fu: “L’arbitro si è scusato per la rete in fuorigioco”.
La strumentalizzazione è sempre dietro l’angolo.
Dopo una gara meglio tacere, se del caso le società (ed in questa circostanza la federazione) potrà trovare ascolto nelle sedi competenti.

Forse adesso qualcuno in più potrà aver capito il motivo per cui sono totalmente contrario alle interviste agli arbitri dopo la fine delle partite...

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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