Una delle più frequenti criticità con le quali un arbitro si deve confrontare è quella delle proteste.
Le proteste non sono tipiche di una categoria: ci sono ovunque, dalla Serie A fino agli Allievi. Più sfumato il problema nelle categorie giovanili e scolastiche, nelle quali domina la maleducazione di genitori poco intelligenti e di dirigenti che dovrebbero dedicarsi alla bocciofila.
Naturalmente è anche sbagliato generalizzare: ci sono ottimi genitori, eccellenti dirigenti ed allenatori che pensano prima ai propri ragazzi e solo poi al risultato.
In questo approfondimento, però, eviteremo di occuparci dell’inciviltà di coloro che dovrebbero essere i primi educatori per soffermarci sulla gestione delle proteste.

Teniamo presente un primo ma fondamentale concetto: la gestione di questa particolare fattispecie è molto diversa tra le categorie dilettantistiche e quelle nazionali.
Ciò non perché si giochi con un regolamento differente ma per il semplice motivo che i calciatori vengono gestiti in maniera differente a seconda dell’esperienza acquisita. Un arbitro di eccellenza non potrà mai avere il numero di gare dirette di un collega di Serie A o Serie B, così come un giovane arbitro dei Juniores Provinciali difficilmente avrà la capacità di esprimere l’autorevolezza che si acquisisce con il passare delle stagioni.

Come comportarsi, dunque?

Partiamo da un primo elemento fondamentale: il capitano.
Nelle chiacchiere che spesso dobbiamo sorbirci, è frequente un’affermazione di questo genere: “l’arbitro non può far finta di non ascoltare le proteste del capitano. Se ha la fascia un motivo ci sarà”.
Questa espressione, in campo, si traduce più o meno in questo modo: “Io parlo perché sono il capitano”.
Entrambe le affermazioni sono il frutto di una criticità che ormai tutti conosciamo molto bene: la totale ignoranza del regolamento, comprensibile per l’avventore del bar, inescusabile per chi pratica il gioco del calcio.

Il capitano non può protestare.
Non può protestare lui così come nessuno (tra calciatori, dirigenti, accompagnatori, tecnici).
Il regolamento ci informa che il capitano è l’unico calciatore che può rivolgersi all’arbitro (a nome della squadra e, in alcuni casi, a nome della società) per chiedere spiegazioni.
Ciò che, in concreto, non capita quasi mai dato che il capitano interpreta sovente il ruolo come libertà di dire quel che vuole.
Torniamo all’argomento della settimana scorsa, ricordate? E’ vero che l’art. 21 della Costituzione statuisce la libertà di espressione ma ci sono dei limiti. Così come esistono dei limiti nella società civile, allo stesso modo esistono dei limiti in campo. Il capitano non può dire quello che gli pare ma, rivolgendosi in termini educati e rispettosi, può chiedere chiarimenti al direttore di gara.
In caso di eccessi, verrà ammonito od espulso, esattamente come gli altri tesserati presenti nel recinto di gioco.

Una volta chiariti i diritti ed i doveri dei calciatori, passiamo alla tipologia di sanzioni.
Al di là dei cartellini gialli e rossi (la scelta spetta all’arbitro in relazione alla gestualità ed alle parole utilizzate), uno dei primi elementi sui quali si basa la valutazione di un arbitro è la capacità di non “attaccarsi al taccuino” per controllare una partita. 
Il regolamento, infatti, propone incidentalmente quello che viene genericamente definito il richiamo, cioè una comunicazione dell’arbitro ad uno o più calciatori senza ricorrere alle sanzioni disciplinari.
Nel regolamento non esiste la definizione di “richiamo volante” o di “richiamo ufficiale” ma, nella prassi, si tratta di due provvedimenti caratterizzati da procedure molto differenti:
- il “richiamo volante” viene utilizzato in occasione di proteste poco evidenti e di breve durata. Si sostanzia in qualche parola rivolta ad un calciatore mentre l’azione prosegue, cercando di intercettarlo sul terreno di gioco col pallone lontano ed in un momento nel quale non sia impegnato direttamente;
- il “richiamo ufficiale” è invece un gesto che possiamo definire come un ultimo tentativo di non ammonire un calciatore. A differenza del precedente, il richiamo ufficiale si sostanzia in un colloquio a gioco fermo, ad una distanza che non deve mai essere troppo ravvicinata (mai, mai, mai andare faccia a faccia con un calciatore, non possiamo sapere cosa accadrebbe se perdesse la testa colpendo l’arbitro con una testata) e con un dialogo unilaterale (regola d’oro: il calciatore deve rimanere ad un braccio più qualcosa di distanza). E’ difficile, me ne rendo conto, riuscire ad ottenere l’attenzione di chi viene richiamato ma, nel corso della mia attività, ho imparato con l’esperienza che urlare in faccia ad un tesserato (e perciò anche ad un allenatore) non serve assolutamente a nulla, se non ad innervosire ulteriormente chi ci sta davanti.
Pensate a ruoli invertiti: come reagireste ad una persona che vi urla ad un metro di distanza di “stare zitti” oppure di allontanarsi “altrimenti ti ammonisco”?
Riflettete qualche secondo e poi continuiamo…

Riflettuto?
Bene.
Sareste contenti di sentirvi trattati in questo modo?
La risposta è molto semplice: no.
Ebbene, una delle grandi lezioni che ho imparato col tempo è che un buon ascendente coi calciatori non si acquista con l’autorità ma con l’autorevolezza.
L’autorità spesso si sostanzia in atteggiamenti di imposizione delle proprie decisioni.
L’autorevolezza, al contrario, si impone con la ragionevolezza.
Un calciatore che si sente richiamato con toni pacati ma decisi sarà più facilmente un nostro alleato in campo rispetto a chi si allontanerà innervosito per essere stato trattato come un subalterno.

Naturalmente e sempre con l’esperienza, si imparerà a capire quando è il momento di usare l’educata fermezza di un richiamo ufficiale, il tentativo bonario di placare gli animi con un richiamo volante o la necessità di ricorrere ad una sanzione disciplinare. 

Teniamo presente un altro concetto.
Un calciatore richiamato ufficialmente deve ritenersi come “avvertito”. Ovviamente non sarà possibile un ulteriore richiamo ufficiale perché, in quello stesso momento, un arbitro starà commettendo un errore.
Se un richiamo volante può essere seguito da un richiamo ufficiale, in quel momento si interrompe l’attività di prevenzione e si dovrà passare alla fase della sanzione, onde evitare non solo di perdere autorevolezza ma di implicitamente autorizzare tutti a comportarsi come preferiscano, secondo la mala interpretazione dell’art. 21.

La prossima settimana affronteremo un altro tema molto complesso: la gestione delle proteste singole e delle mass confrontation.

 

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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