Come abbiamo visto nei precedenti appuntamenti, giudicare un arbitro è tutt’altro che banale: entrano in gioco tanti aspetti sui quali spesso non viene posta la minima attenzione.
Lo sappiamo: gli arbitri interessano solo come oggetto di polemiche, spesso per discussioni create ad hoc per alzare di mezzo punto percentuale il numero di “like” sui social.

Non si approfondisce una prestazione sotto tutti gli aspetti possibili ma solo basando il giudizio su uno o due episodi: se vengono giudicati positivamente, l’arbitro viene promosso dal quotidiano o dalla trasmissione. In caso contrario, è un massacro senza contraddittorio, spesso veicolato da persone che non hanno la minima idea di quel che stanno discutendo.

La forza di un arbitro, soprattutto ai massimi livelli e con la costante pressione massmediatica, è di non farsi mai influenzare da quel che legge od ascolta.
Bisogna mettersi in testa un principio che ho imparato a riconoscere come fondamentale: la correttezza esiste solo in rarissime circostanze, viviamo in un mondo nel quale il profitto personale è più importante anche dei rapporti umani. Ultimamente, poi, il profitto personale non è solo quello economico ma anche solo quello della visibilità: perciò sarà più facile raccogliere consensi scrivendo assurdità tecniche, ben sapendo che una risposta non arriverà mai. D’altro canto l’arbitro “scarso, cattivo ed in malafede” sarà sempre la schermatura ideale per mascherare la mancanza di argomenti.

La scorsa settimana abbiamo trattato un argomento fondamentale, cioè l’aspetto comportamentale dell’arbitro prima e dopo la partita.
Oggi affrontiamo la parte più importante, cioè l’aspetto comportamentale in campo.

Premessa doverosa: questa parte dell’attività arbitrale richiederebbe ore ed ore di discussione ma, in questa sede, dobbiamo forzatamente sintetizzare.
Questo passaggio per evidenziare un concetto che ripeto in continuazione non per fissazione personale ma per convinzione acquisita nel corso degli anni di attività: frequentate la sezione perché è il luogo ideale ove apprendere anche i particolari di un hobby tanto umanamente straordinario quanto tecnicamente difficile.

Il tema del comportamentale in campo può tradursi con un più semplice “atteggiamento generale” dell’arbitro nei confronti di calciatori e dirigenti.
Come avrete notato, spesso ho citato anche il pubblico.
Non in questo caso perché la figura arbitrale deve rimanere del tutto indifferente rispetto al fattore esterno presente alla gara: so bene che è difficile ma il primo obiettivo dev’essere di non farsi influenzare da quel che potremmo ascoltare dalle tribune.
Sia chiaro: nessuno è santo, anche il sottoscritto si è lasciato andare (una sola volta, giuro) ad un gestaccio nei confronti di uno spettatore che mi aveva preso di mira dal primo minuto (Inter-Verona Primavera di qualche annetto fa). Di quel dito medio mi sono pentito subito anche se ebbi quantomeno l’accortezza di “esibirlo” senza farmi vedere da nessuno.
In ogni caso evitate, contate fino a dieci e pensate solo che, rispondendo, vi abbassereste al loro livello (ed è un livello veramente molto basso…).

Così come si deve evitare di raccogliere la provocazione (qualsiasi essa sia), allo stesso modo è necessario esimersi dal metterla in atto.
Concetto che potrà apparire oscuro ma… seguitemi un attimo.

Poniamo che un calciatore si renda colpevole di un fallo non imprudente ma al limite del cartellino giallo.
Sappiamo di avere a disposizione un’arma formidabile che è il richiamo ufficiale.
Ricorderete che, qualche settimana fa, scrissi che questa particolare possibilità spesso denota la qualità caratteriale di un direttore di gara: non è certo facile rapportarsi con una persona che, in linea di massima, non abbiamo mai visto prima.
Ebbene, il richiamo ufficiale può essere un’arma a doppio taglio e si deve essere in grado di modularlo a seconda di tanti fattori, dal nervosismo generale all’ambiente in cui si opera, dal minuto di gara al punteggio.
Provate, per un attimo, ad essere un calciatore. Per gran parte di voi non è difficile immaginare una tale situazione, dato che tutti (bene o male) abbiamo giocato a pallone.
Ebbene, quale sarebbe la vostra reazione di fronte a questi due comportamenti?
Le due ipotesi:
- un arbitro si avvicina voi urlando di “non farlo più altrimenti ti sbatto fuori”
- un arbitro vi richiama con calma lontano da tutti e vi chiede più attenzione per evitare un cartellino giallo.
L’educazione, ricordatevelo sempre, paga di più.
Paga sempre in termini di autorevolezza: urlare in campo non è mai una buona idea, tende solo ad alzare il livello di nervosismo dei calciatori.
L’educazione, invece, consente un dialogo autorevole (l’ultima parola è sempre dell’arbitro) e trasmette empatia nei confronti di chi ci deve ascoltare.

Qualcuno dirà: “eh ma Orsato...”.
Ragazzi miei, di Orsato ne nasce uno ogni quindici anni.
In giro, di Orsato, non ce ne sono o, quantomeno, se ci sono si sono ben nascosti.
Non si può e non si deve prendere ad esempio un fuoriclasse. Il fuoriclasse è unico proprio perché a lui riescono “gesti” che ad altri sono impossibili. Peraltro anche Orsato, negli ultimi anni, ha molto ammorbidito questa sua peculiare rudezza nei confronti dei calciatori, rendendosi conto che l’aggressività eccessiva spesso porta all’esasperazione dei toni da entrambe le parti.

Lo stesso discorso vale per quanto concerne in dirigenti, in particolare l’allenatore: porsi in maniera aggressiva è inutile.
Urlare in faccia ad una persona non porterà mai nulla di buono perché l’aggressione verbale scatena una reazione uguale e contraria. Nella gran parte dei casi giocatori ed allenatori subiranno un tale atteggiamento (ben consapevoli che altrimenti rischierebbero di incorrere in provvedimenti disciplinari) ma non accoglieranno positivamente il messaggio: in cuor loro, in realtà, vi stanno mandando a quel dato paese.
Un contegno educato, sereno, tranquillo è il modo migliore per poter avere dalla propria parte una persona: magari non vi aiuterà nel vostro compito ma sicuramente non sarà il primo a protestare gesticolando platealmente e ciò perché ricorderà il rispetto che avete portato nei suoi confronti.

Chiaro che si tratti di un concetto generale e che la realtà dei fatti possa essere molto diversa: solo l’esperienza può aiutarci a capire in quale momento essere più dialoganti e quando essere più rigidi (eventualmente evitando discussioni sterili) ma il primo insegnamento (se così possiamo definirlo) ai ragazzi del corso arbitri era sempre l’utilizzo dell’educazione nei confronti di persone che dobbiamo amministrare col regolamento. Persone che, però, non conosciamo.
Il giorno in cui vi accorgerete che i calciatori accettano senza fiatare una vostra decisione sbagliata (perché vi rendete subito conto di un errore…), quel giorno vi accorgerete di essere sulla strada giusta.
Se invece i calciatori protestano per ogni scelta, anche la più banale, allora dovrete domandarvi che cosa vi sia di sbagliato nel modo di rapportarsi.

Parlare, ovviamente, non significa chiacchierare.
Parlare significa scegliere un momento nel quale sia necessario comunicare qualcosa a qualcuno.
Chiacchierare significa giustificare qualsiasi decisione, il che si tramuta in una negatività poiché autorizza chiunque a chiedere spiegazioni, anche su fattispecie marginali. Tutto ciò si tramuta in un boomerang: le nostre parole non avranno più la presa necessaria ma si perderanno in un mare di concetti superflui.
Anche in questo senso, l’esperienza è fondamentale: scegliere il momento nel quale parlare con un calciatore non è affatto facile e dipende da mille fattori.
E l’esperienza, spesso, viene accelerata dagli osservatori che tali questioni le hanno già affrontate prima di voi. Non potranno mai passare tutto il proprio background (non sono chiavette e voi non avete una porta USB…) ma sono in grado di indicarvi la via corretta da percorrere.

Il colloquio con l’osservatore sarà l’argomento della prossima settimana. E non è un argomento banale...

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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