Ancora non sappiamo con certezza cosa accadrà nel fine settimana: si giocheranno alcune gare di campionato a porte chiuse per l’emergenza coronavirus? Quante se ne giocheranno in queste condizioni? Verrà rinviata a lunedì l’attesissima Juventus-Inter per permettere al pubblico di accedere all’impianto?

Inviato virtualmente un grande “in bocca al lupo” a Guida ed alla sua squadra per il cosiddetto derby d’Italia, proviamo ad immaginare quel che potrebbe accadere se gli arbitri si dovessero trovare a dirigere all’interno di enormi impianti totalmente privi di pubblico.

Non si pensi che non ci sia differenza tra uno stadio come San Siro deserto ed un campo della parrocchia.
E’ vero, in entrambi i casi (a San Siro per disposizione sanitaria, alla parrocchia per abitudine) non ci sarà (quasi) nessuno sugli spalti od a bordo campo ma si tratta di due situazioni ambientali completamente differenti.

Il 2 febbraio 2007, nelle ore precedenti il derby tra Catania e Palermo (affidato al buon Stefano Farina, a cui mando un abbraccio, ovunque egli sia) venne ucciso l’ispettore Filippo Raciti, assassinato nel corso di incidenti al di fuori dello stadio.

Nelle ore successive a quella tragedia, venne deciso di rinviare l’intera giornata di Campionato, sia di Serie A che di Serie B.
Per il 3 febbraio 2007 ero stato designato per Juventus-Rimini ma, poche ore prima della partenza, venni fermato da una telefonata che mi annunciava la sospensione di ogni attività.

La settimana successiva il turno non venne rinviato ma giocato a porte chiuse per decisione della Federazione e del Governo.
Venni, in quella occasione, designato per Napoli-Piacenza.

Il San Paolo di Napoli è uno stadio vecchio, fatiscente e che appare come una sorta di vetusto santuario di un calcio che non esiste più, rappresentato da adunanze oceaniche in luoghi scomodi, con nessun servizio e con null’altro a disposizione se non la partita di calcio.
Prima di quel pomeriggio ero entrato per l’ultima volta al San Paolo in occasione della semifinale playoff di Serie C tra Napoli e Sambenedettese, davanti ad oltre 70000 spettatori ed un caos realmente infernale.

Quel giorno lo ricordo come una sorta di contrappasso: dal rumore assoluto al silenzio tombale.
Salire gli scalini quel pomeriggio è stato surreale: un anno prima venimmo accolti dal boato assordante del pubblico, quel pomeriggio dal sibilo di una radiolina degli stewart che gracchiava incomprensibili comunicazioni di servizio interno.

La partita si svolse in uno stadio per certi versi assurdo.
In ambienti così vasti è spesso difficile farsi sentire a cinque metri di distanza per la presenza continua di cori ed il vociare indistinto di settantamila anime.
La particolarità di spazi così giganteschi circondati da spalti vuoti è che si crea una sorta di effetto eco, con la conseguenza che ogni parola rimbomba come se la si pronunciasse in un bottiglia di plastica vuota.

Arbitrare, giocare, allenare in queste condizioni particolari è completamente differente dal solito.
Dal 2007 ad oggi ci sono state alcune circostanze nelle quali si è giocato a porte chiuse ma spesso tali decisioni sono state “aggirate”: ricordiamo, per esempio, Inter-Sassuolo del campionato scorso, partita che avrebbe dovuto svolgersi nell’assenza totale del pubblico per la nota vicenda dei cori razzisti contro Koulibaly e che invece si disputò in presenza di migliaia di ragazzini lasciati entrare gratuitamente allo stadio.

Non sarà facile abituarsi a questo ambiente, sempre che ciò sia confermato: purtroppo, in questo gigantesco caos mediatico generato dall’emergenza del coronavirus, si inseguono decine di notizie differenti ogni minuto e spesso è impossibile determinare cosa sia vero e cosa sia più strumentale alla raccolta indecente di visualizzazione dei siti per vendere al meglio la pubblicità presente.
Operazioni indecenti a cui, purtroppo, ci stiamo abituando ed alle quali fatichiamo a reagire con raziocinio.
Le assurde reazioni viste ed osservate in questi giorni sono lo specchio di questa psicosi: supermercati presi d’assalto come se fossimo in prossimità di una guerra nucleare, gente di mediocre intelligenza che passeggia per strada con inutili mascherine di carta (che servono giusto ad evitare che una mosca finisca in bocca, non certo come barriera per un virus), attacchi personali a turisti che hanno la sola colpa di vivere nelle regioni nelle quali si sono registrati casi di contagio (spesso senza sintomi).

Tutto ciò per dire che anche io, in questi giorni, fatico a capire cosa ci sia di vero nelle ipotesi di riapertura degli stadi già da domenica o nella prospettiva che si debba giocare in queste condizioni per molte settimane.

In ogni caso è interessante tornare alla mia esperienza di tredici anni fa (son già passati tredici anni…).
Interessante perché potrebbe essere una giornata molto atipica per certi versi ma anche molto polemica per altri.

Per quale  motivo ipotizzo queste polemiche?
Perché c’è Juventus-Inter?
Ovviamente la presenza in calendario del derby d’Italia è un motivo di curiosità ulteriore (ed anche in caso di prestazione perfetta di Guida qualcuno si inventerà qualche sciocchezza per generare visibilità, statene certi) ma ciò a cui mi riferisco è altro.

Prima di quel Napoli-Piacenza dissi ai giocatori, mentre attendevamo l’ingresso sul terreno di gioco in fondo alle scale, di evitare proteste eccessive perché si sarebbe sentita ogni parola, stante l’assordante silenzio degli spalti.
A maggior ragione consigliai di evitare bestemmie che, spesso, un arbitro non sente nemmeno perché si trova a cinquanta metri di distanza.
E poi diciamolo: ogni tanto un arbitro sveglio fa anche finta di non sentire qualche parolina di troppo, comprendendo molto più di quanto si pensi la psicologia di un calciatore ed i momenti particolari che si possono vivere durante i novanta minuti.

Debbo dire che i calciatori compresero velocemente l’ambiente particolare in cui si trovavano e, per tutta la gara, limitarono fin quasi ad annullare ogni eccesso verbale.
Poi, a pochissimi minuti dalla fine, Calaiò (allora in forza al Napoli) dalla panchina si lasciò andare ad un apprezzamento non esattamente cordiale nei miei confronti. Espresse questo dissenso con un tono di voce che, in condizioni normali, anche il quarto ufficiale avrebbe faticato a sentire ma che, in uno stadio deserto, sentii da cinquanta metri di distanza (mi trovano, infatti, dalla parte opposta). Ovviamente non potevo far finta di nulla: se lo avevo sentito io, non poteva non averlo sentito più o meno mezza Italia, dato che vicino a Calaiò si trovavano i bordocampisti ed anche i microfoni utilizzati per la diretta.

Ecco il problema principale col quale dovranno prendere confidenza velocemente i calciatori ed anche gli stessi arbitri: controllare quel che diranno perché i microfoni attuali hanno una sensibilità tale da catturare suoni che fino a dieci anni fa erano inudibili.
Ebbene, pensate a cosa riuscirebbero ad inventarsi taluni personaggi se, nel corso di un’ipotetica Juventus-Inter a porte chiuse, un calciatore in campo dovesse bestemmiare: evento che, in gara, un arbitro gestisce con intelligenza ma che in una circostanza particolare lo porterebbe a decidere applicando il regolamento pedissequamente.

Lo stesso vale per allenatori, dirigenti e gli stessi arbitri.
Sì, perché anche noi arbitri non siamo esattamente dei santi.
Siamo certamente abituati (purtroppo) a sopportare insulti di ogni genere ma capita che anche a noi “scappi” qualche parolina di troppo.
Ecco, nel weekend sarà necessaria enorme prudenza anche in quest’ambito perché potrebbe essere facile costruire una polemica su una parola pronunciata da un calciatore ma state certi che una sola espressione fuori luogo di un direttore di gara scatenerebbe orde di incivili che non aspettano altro.

Sarà interessante.
Anche se, in cuor mio, spero di vedere gli stadi pieni fin da sabato: un segnale di normalità in una società che sembra aver perso l’ultimo briciolo di razionalità.

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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