Una delle domande che più spesso ascoltiamo è la seguente: “perché il VAR è così strutturato?”.

La domanda-corollario vien di conseguenza: “perché non modificano il protocollo per [motivi vari]?”.

Il recente esempio della NFL (la Lega professionistica del Football Americano) ci offre un’interessante chiave di lettura di quel che accadrà non solo nel prossimo futuro ma anche nel lungo periodo.

Partiamo dall’ultima decisione assunta dai proprietari delle franchigie NFL.
Proprio questa prima frase merita un’importante precisazione: nello sport americano, strutturato in modo completamente differente dagli altri, non esistono entità sovraordinate a cui far riferimento.
In sostanza: per il Football Americano non esiste l’equivalente dell’IFAB, cioè un’istituzione sovranazionale a cui tutte le federazioni devono far riferimento per eventuali modifiche delle regole. Nella NFL sono i proprietari delle franchigie che decidono (spesso all’unanimità, in alcune circostanze a maggioranza) quali innovazioni introdurre nel gioco.
Chiaro, non si tratta di modifiche ai fondamenti (per portare qualche esempio: 4 down per conquistare 10 yard, assegnazione dei punti per un touchdown, lunghezza del campo ecc.) ma di quelle piccole novità che, a volte, segnano profondamente il funzionamento della Lega.

Facciamo un passo indietro.
Art McNally, dalle nostre parti, è un nome che ci dice poco o nulla.
Negli USA, invece, è unanimemente riconosciuto come il pioniere dell’utilizzo della tecnologia nello sport.
Nel 1976 (44 anni fa…) provò artigianalmente una sorta di replay immediato durante il Monday Night tra Dallas Cowboys e Buffalo Bills.
Il progetto venne presentato un paio di anni dopo ma bocciato per lungo tempo (un po’ come accaduto nel calcio) fino a quando i proprietari delle franchigie approvarono lo strumento in prova (esattamente come accaduto per il VAR). Nel 1985 venne perciò approvato un protocollo che consentiva di studiare i meccanismi di utilizzo, con una sperimentazione offline che sarebbe terminata alla fine di quella stagione.
Nel 1986 l’innovazione venne approvata ed introdotta col nome di “Instant Replay”.
Quella tecnologia, innovativa ma ancora poco raffinata, era molto differente rispetto a quella che conosciamo oggi e sarebbe stata oggetto di modifiche più o meno profonde nel corso degli anni.

L’instant replay, fino al 1992, rimase uno strumento utilizzabile solo ed esclusivamente dagli arbitri, collegati con una sala centrale con cuffie e monitor, attraverso i quali potevano rivedere delle azioni sulle quali nutrissero dubbi interpretativi.
Esistevano due opzioni: revisione dell’episodio per propria iniziativa oppure revisione dopo essere stati richiamati dalla centrale operativa.

Fin qui credo che siano evidenti i parallelismi.

Nel 1992 i proprietari assunsero una decisione rivoluzionaria.
Dopo sei anni di Instant Replay votarono per l’abolizione completa dell’utilizzo della tecnologia. L’Instant Replay, da un giorno all’altro, scomparve dai campi di football.

Sette anni dopo, però, gli stessi proprietari si resero conto che era ormai impossibile rinunciare agli aiuti tecnologici nonostante la presenza di tanti arbitri in campo.
I motivi erano i seguenti:
- aumento della velocità del gioco;
- implementazione delle strutture tecnologiche a disposizione dei tecnici, con conseguenti furbi e raffinati trucchetti invisibili agli arbitri;
- aumento del volume d’affari complessivo (ciò che imponeva un risultato reale e non causato da un errore arbitrale);
- opinione pubblica che riteneva che alcune franchigie venissero aiutate (tutto il mondo è paese…).

Nel 1999, perciò, l’Instant Replay tornò prepotentemente al centro della discussione e, nel giro di poche settimane, venne nuovamente introdotto nella NFL, con un protocollo molto diverso da quello originario ma, soprattutto, con un’innovazione epocale: il challenge.

Il challenge del football americano è caratterizzato dal metodo col quale viene chiamato: è un’opzione a disposizione solo ed esclusivamente dell’Head Coach che, una volta ascoltati in cuffia gli esperti sistemati in un’apposita sala nello Stadio, lancia il famoso fazzoletto rosso per richiamare l’attenzione degli arbitri.
Una volta interrotto il gioco, il capo arbitro (riconoscibile da un cappellino diverso da tutti gli altri) si avvicina al coach e gli chiede che cosa voglia sottoporre all’attenzione degli ufficiali di gara.
Dopo tale comunicazione, l’arbitro ha l’obbligo di rivedere l’azione sottoposta a review, comunicando infine la decisione a tutti i presenti attraverso un microfono collegato agli altoparlanti dello Stadio.

Attenzione ad un particolare: anche la comunicazione ai presenti non è esistita dall’inizio. Al contrario è stata introdotta dopo il 1999, ben 14 anni dopo la prima comparsa della tecnologia nella NFL.

Vi starete chiedendo: perché tutta questa introduzione?
Il motivo è molto semplice: il VAR, al momento, non è nella sua versione definitiva. È anzi probabile che, nel corso dei prossimi anni, verrà modificato, implementato, modellato, magari seguendo proprio l’esempio della NFL.

Lo scorso anno, dopo un’incredibile errore nel corso di New Orleans Saints-Los Angeles Rams (una pass interference grande come un palazzo non segnalata dagli arbitri), i padroni di casa furono costretti a liberarsi del pallone con un punto. I Rams riuscirono a percorrere il campo ed a segnare i punti necessari per accedere al SuperBowl (che poi persero ad Atlanta contro i New England Patriots).

Proprio a seguito di questo incredibile errore, i proprietari delle franchigie decisero di consentire il challenge anche per questa particolare fattispecie.
Tutto a posto?
Nemmeno per idea.
Per la prossima stagione, e dopo solo un anno dalla rivoluzionaria scelta del 2019, gli stessi proprietari hanno deciso di tornare indietro e di non consentire più agli allenatori di poter chiamare il challenge sulla pass interference.
Decisione molto strana ma a cui gli americani ci hanno abituati: spesso la logica delle scelte sfugge all’immediata comprensione ed altrettanto spesso vengono commessi errori a cui si tenta di porre rimedio in qualche modo. Basti pensare al 1992: la tecnologia venne eliminati dalla sera alla mattina senza una vera ragione ma per il sol fatto che le franchigie avevano idee differenti sull’utilizzo.
Il risultato fu che, quasi per ripicche reciproche, passò a maggioranza la decisione di privarsi di uno strumento utile a tutti. Solo sette anni dopo, quasi per disperazione, fecero un passo indietro riaccogliendo la tecnologia e trovando un accordo condiviso sulle modalità.

Lo stesso percorso seguirà il protocollo VAR.
Per quanto concerne la prossima stagione (anche se non sappiamo quando avrà inizio), il protocollo non è stato modificato nemmeno in minima parte.
Si è diffusa sugli organi di informazione la notizia di un utilizzo maggiore del VAR ma, in realtà, la presa di posizione dell’IFAB è stata chiaramente indirizzata a chi utilizzava la tecnologia senza rispettare il protocollo, devolvendo al VAR la decisione finale che veniva semplicemente comunicata all’arbitro.
In Italia, per esempio, questa indicazione rimarrà lettera morta: da sempre, nel nostro campionato, funziona in questo modo. Una volta che il VAR ritiene sussistente un “chiaro ed evidente errore” richiama l’arbitro al VAR, mostra allo stesso le immagini e lascia che prenda una decisione soggettiva.
In sintesi l’IFAB, probabilmente stufa ed anche un po’ scocciata dall’anarchia della Football Association, ha scritto tra le righe “se volete usare il VAR, ne siamo contenti; però il VAR si usa solo ed esclusivamente secondo i criteri del protocollo altrimenti non potrete utilizzarlo”.

Il fatto che il protocollo non sia stato modificato per nulla negli ultimi tre anni significa che ormai è una versione definitiva?
Direi proprio di no.
Parlando direttamente con alcune persone facenti parte dell’IFAB a vario titolo, è emersa una linea comune: lo strumento è ancora nuovo (esiste online da meno di tre stagioni, anche se sembrano decenni), per ora si lascino sedimentare i concetti di base poi si passerà alla fase successiva.

Le fasi successive saranno sostanzialmente due:
- il challenge (la cui chiamata sarà probabilmente nella responsabilità dell’allenatore in panchina o del capitano in campo);
- l’allargamento delle fattispecie per cui poter utilizzare la tecnologia (superando il concetto di “chiaro ed evidente errore”, troppo limitativo dell’ambito di applicazione).

Non sono in grado, ovviamente, di affermare l’anno in cui si arriverà a tali innovazioni. In linea di massima è prevedibile che il challenge possa essere introdotto (quantomeno in via sperimentale) dalla stagione 2021/2022, in tempo per poter essere utilizzato durante i Mondiali del Qatar ma non escludo che possa “scivolare” più in là.
Per ora, comunque, non sono in programma “panel” in merito (i panel sono gruppi di lavoro composti da un numero definito di persone individuate singolarmente, a cui viene affidato un argomento specifico che devono sviluppare in un determinato periodo di tempo, al termine del quale è prevista la presentazione di una relazione condivisa).

I concetti da tener presenti, alla fine di questa esposizione, sono due:
- per quanto concerne la prossima stagione non è cambiato e non cambierà assolutamente nulla;
- il protocollo attuale non è una versione definitiva ma solo un modello iniziale che non verrà innovato per qualche tempo.

Per concludere, ribadisco un concetto fondamentale, a costo di apparire noioso: per la prossima stagione non è stato cambiato niente, perlomeno non per quanto riguarda l’Italia.

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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