Prima delle vacanze di Natale (durante le quali anche il sottoscritto ha osservato un periodo di riposo) abbiamo cominciato ad affrontare un tema completamente sconosciuto al grande pubblico, cioè la valutazione della prestazione di un arbitro.

Nel primo capitolo abbiamo visto come un osservatore dovrebbe valutare questo aspetto, ponendo l’attenzione anche sulla differenza di approccio a seconda della categoria in cui il giovane (o meno giovane) direttore di gara viene visionato (https://www.fischiettomania.com/it/smartblog/44_come-si-giudica-un-arbitro.html).

In questa seconda parte affronteremo due altri temi di fondamentale importanza: la questione tattica (sì, anche gli arbitri hanno degli schemi da seguire per porsi nelle migliori condizioni possibili per giudicare) e l’aspetto disciplinare.

L’aspetto tattico.
Prima delle vacanze abbiamo visto che arbitrare non è solo fischiare, assegnare rigori ed estrarre cartellini. Arbitrare è prima di tutto tanta, tantissima corsa. Corsa che non deve essere fine a se stessa ma modulata, strumentale per essere sempre ad una distanza ideale dall’azione, per giudicare al meglio sia dal punto di vista tecnico che da quello disciplinare.

Cosa si intende per tattica arbitrale?
Ebbene, questo concetto è stato cambiato mille volte nel corso degli anni e non certo per confusione. L’attività arbitrale non può rimanere sempre uguale a se stessa ma, ovviamente, deve adeguarsi anche alle novità introdotte dal calcio.
Se, per esempio, negli anni ‘80 si poteva tranquillamente seguire un’azione correndo tra una mezzaluna e l’altra, senza mai esplorare le fasce laterali, nel periodo successivo è stata insegnata la diagonale, poi la diagonale spezzata ecc.
In sintesi: la nostra corsa si deve adeguare alle esigenze della competizione che siamo chiamati a dirigere.
Che i ragazzi che arrivano alle massime categoria siano sempre atleticamente mostruosi e senza un filo di grasso di troppo non è una questione puramente estetica ma soprattutto una necessità. Già in Serie B, per esempio, la velocità del gioco è altissima. In Serie A lo è enormemente di più: cambia la fisicità dei calciatori, la capacità di calciare il pallone lontano, la potenza atletica, la velocità di esecuzione, il cambio di fronte repentino.
Le famose ripartenze (che altro non sono che i vecchi contropiede) sono spesso azioni durante le quali i giocatori coprono l’intero terreno di gioco in una dozzina di secondi: farsi trovare lontani in dinamiche di questo genere significa, nella gran parte dei casi, doversi affidare alla sorte, sperando che non ci sia nulla da decidere da distanze inadeguate alle necessità.

E’ chiaro che non si può chiedere ad un ragazzo di 16 anni di conoscere tutti i movimenti migliori per ogni fase di gioco: è ovvio che questo è un bagaglio tecnico che si assimila solo con l’esperienza. E’ fondamentale, nei primi passi della formazione, insistere su pochi ma imprescindibili principi:
- evitare in ogni modo il cerchio di centrocampo: è la zona nella quale, nel settore giovanile e nelle categorie di base (terza e seconda), più spesso viene giocato il pallone. Trovarsi all’interno del cerchio di centrocampo è il modo migliore per rischiare scontri con i calciatori ed essere fattore di interferenza col pallone stesso;
- conseguenza del primo suggerimento, attraversare il cerchio di centrocampo solo nei momenti strettamente necessari oppure, se l’azione lo consente, nelle fasi di ripartenza;
- non avere una posizione statica nei pressi della mezzaluna delle aree di rigore e sempre per lo stesso motivo: i difensori delle categorie giovanili o provinciali non hanno le basi per poter uscire col possesso, sostare in quella zona significa rischiare di essere colpiti dal pallone rinviato molto spesso a caso. E’ vero che adesso il nuovo regolamento ci offre una via d’uscita per evitare di essere fautori di un’azione pericolosa però è sempre meglio evitare spiacevoli incontri ravvicinati con una cosiddetta “spazzata” della difesa…
- nelle circostanze in cui il gioco deve essere ripreso, posizionarsi in modo tale da anticipare lo sviluppo dell’azione (e in questo ambito rientra la conoscenza di questo sport, altro elemento che si acquista col tempo e con l’esperienza): perciò avanzare di qualche metro sui calci di punizione (eventualmente posizionandosi sulla linea del penultimo difendente per valutare il fuorigioco, muovendosi lateralmente per non rimanere spiazzati su un lancio in profondità), scegliere la visuale migliore su un calcio d’angolo (senza assistenti: sempre dalla parte opposta rispetto all’angolo da cui deve essere calciato), ecc.
Ovviamente sono solo indicazioni di massima che verranno meglio illustrate dagli organi tecnici di riferimento.

Aspetto disciplinare.
Molti si aspetteranno una frase del tipo: “è certamente il punto fondamentale per valutare la prestazione di un arbitro”.
Invece no: a mio parere è solo il secondo parametro in ordine di importanza, ben dopo quello che, una volta, veniva definito come “comportamentale”. La capacità di relazionarsi in campo è di gran lunga più importante nel complesso anche se, nella singola partita, può essere marginale rispetto al disciplinare.

E’ chiaro che, anche in questo contesto, sussistono differenze enormi tra la valutazione di un direttore di Serie A ed uno dei giovanissimi provinciali.
Ed è proprio in questo ambito che un osservatore deve riuscire a calarsi nel migliore dei modi, per non cadere nella tentazione di giudicare un ragazzino di 16 anni pretendendo che sia in possesso delle medesime qualità di un uomo di trent’anni.
Ricordo ancora tra il divertito e l’irritato i rapporti di alcuni osservatori nazionali che basavano le proprie valutazioni nei giovanissimi o negli allievi sui parametri della CAN D o della CAN C. Il risultato erano comiche pretese da ragazzi alle prime armi e relazioni al limite del surreale. Naturalmente nessuno di questi pseudo-esperti è mai arrivato alle massime categorie nazionali nel ruolo di osservatore ma, al contrario, hanno spesso convinto dei giovani a lasciare l’attività: esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere il loro compito.
Nella mia esperienza nell’Associazione ho conosciuto centinaia di osservatori: alcuni bravissimi, alcuni tremendi, alcuni totalmente impreparati. E’ la fortuna di cui parlavo nelle scorse occasioni.
Sicuramente appartengo a quei fortunati che, fin dall’inizio, hanno trovato osservatori in grado di costruire un’empatia tale da comunicare costruttivamente.
Non è certo un caso che abbia ricordi nitidi del primo osservatore (il compianto Danielli, già “incontrato” virtualmente nelle scorse settimane) e non abbia alcun ricordo del secondo, associato della sezione di Lecco che, ai tempi, era impegnato in Eccellenza. E che in Eccellenza si fermò…

Un ragazzo alle prime armi non deve certo essere valutato sui singoli episodi: se dovesse perdersi una, due od anche tre ammonizioni per SPA, non è necessario abbassargli il voto. Ci sono persone che si occupano di calcio da trent’anni ed ancora non hanno la minima idea di quale sia la differenza tra un’ammonizione per SPA ed una per imprudenza…
Perciò che cosa si deve valutare?
E’ chiaro che, cambiando le categorie, cambiano anche i parametri valutativi: se nelle prime esperienze dev’essere richiesta la conoscenza di base delle regole, in Serie A è dato per scontato che una fattispecie venga correttamente inquadrata.
In questa miniguida (che, lo ripeto, dev’essere solo di indirizzo generale e che non sostituisce le direttive dei vari organi tecnici), preferisco soffermarmi su quei particolari su cui insistere con i giovanissimi (esattamente come sull’aspetto tattico):
- le sanzioni disciplinari devono essere mostrate con determinazione. Ciò non significa “sbattere” il cartellino in faccia al calciatore: non lo stiamo punendo, lo stiamo sanzionando per un’infrazione di gioco;
- alzare per bene il braccio verticalmente sopra la testa: un cartellino estratto con poca convinzione, magari con braccio parzialmente piegato oppure di fronte alla testa invece che sopra la testa (nel gergo si dice “come se si offrisse un’ostia”) non comunica decisione ma insicurezza. Un calciatore, anche se giovane, coglie subito il punto debole e, seppur inconsciamente, cercherà di sfruttarlo;
- mai ammonire un calciatore in mezzo agli altri. Il cartellino giallo ed il cartellino rosso sono, di fatto, dei segnali che devono essere colti dal calciatore (che, se ammonito in mezzo al gruppo, potrebbe anche non essere consapevole della sanzione), dagli allenatori (che potrebbero scegliere di sostituire un giocatore per evitare problemi ulteriori). E non solo: la sanzione disciplinare deve essere esibita anche per poter rendere edotti della scelta il pubblico, i dirigenti, i calciatori di riserva ed anche eventuali cronisti presenti;
- nel caso in cui si debba ammonire un giocatore e, nei momenti successivi, dovesse svilupparsi un capannello di calciatori, fare in modo di lasciar quietare la situazione, allontanare dal gruppo il calciatore, isolarsi con lo stesso e procedere alla sanzione disciplinare;
- mai, mai e poi mai avvicinarsi al giocatore a meno di un metro e mezzo per sanzionarlo: ricordatevi sempre che potete avere tutte le ragioni del mondo per giustificare la vostra scelta ma un calciatore nervoso potrebbe reagire (anche non volendo) con un colpo. Regola d’oro: ammonire senza MAI andare faccia a faccia ma sempre mantenendo un distacco fisico di almeno un metro e mezzo.

Nel prossimo appuntamento ci occuperemo di quello che è, a mio parere, il nodo fondamentale dell’attività: le qualità comportamentali, in particolare la capacità di relazionarsi con le varie parti della competizione (e dunque allenatori, calciatori, dirigenti, qualsiasi tipo di persona).

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog (www.lucamarelli.it) è nato come un passatempo e sta diventando un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati.

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