L’illusione dell’oggettività si radica in Italia in una delle componenti più sotterranee del nostro tifo, e cioè la cronica diffidenza verso coloro che detengono il potere di scrivere le regole e di farle rispettare, la cosiddetta “cultura del sospetto”. Da sempre il mondo del calcio è stato al centro di polemiche inutili e di diffamazioni piuttosto evidenti e la figura dell’arbitro non è certo esente da critiche o da giudizi troppo affrettati. Spesso però a muovere questi attacchi è l’inesistenza di conoscenza delle basi regolamentari di questo sport, che porta così ad un confusione per certi versi irreale su fattispecie molto semplici. Prima o poi ci si stancherà di ascoltare le solite frasi senza senso basate su regolamenti inventati, o magari arriverà il momento in cui le persone cominceranno a chiedere per comprendere ciò che non conoscono. Nel frattempo però vi regaliamo i dieci luoghi comuni sull’arbitro di calcio.

1. “L’arbitro è permaloso”

Prima di ammonire per proteste, un arbitro ci pensa 10 volte. Fa un richiamo verbale, a volte fa finta di non sentire, si gira dall’altra parte. Ma non si può fare finta di niente davanti ad un giocatore che sbraccia o sbraita. In quel caso il cartellino giallo è scontato. Uomo avvisato…

2. “Oggi l’arbitro vuol fare il protagonista”

L’arbitro è l’unico che può giudicare in campo, in merito a decisioni tecniche e disciplinari. Non è il protagonista, perché i protagonisti sono i calciatori, a loro è demandato lo spettacolo. L’arbitro può favorirlo, fischiando ove necessario e prendendo i giusti provvedimenti disciplinari, restando sempre al di sopra delle parti. Se questo vuol dire essere protagonisti, allora c’è qualcuno che non ha capito che esistono dei ruoli. E che vanno rispettati.

3. “L’uomo nero”

Già, una volta l’arbitro era quello nero. Oggi è anche quello blu, quello lilla e quello giallo. Questo perché sempre più squadre scelgono i colori scuri, compreso il nero, per le divise sociali. Il problema è che ormai per preparare un borsone (per andare ad arbitrare) bisogna tirar giù tutto il guardaroba. E non solo quello.

4. “L’arbitro deve farsi aiutare dai giocatori”

I giocatori giocano, l’arbitro arbitra. Onestà e sportività sono valori importanti, e che pagano, ma nessuno li pretende. Ben vengano se ci sono, altrimenti esistono i provvedimenti tecnici e disciplinari. E nessuno si offenderà. Soprattutto gli spettatori paganti. Sperando che la metafora sia chiara ed essenziale.

5. “Era ultimo uomo!”

Una volta per tutte, ripetiamolo insieme: il fallo da ultimo uomo non esiste. Non è contemplato nel regolamento. Si chiama “evidente opportunità di segnare una rete“. Della serie: c’è una concreta possibilità di segnare? Allora è espulsione. Il compagno dietro, a lato, a rimorchio o sul palo non c’entra nulla.

6. Il fallo di mano volontario e plateale chiama l’ammonizione

Notizia sconvolgente: il fallo di mano volontario, anche se plateale, può non valere l’ammonizione. Il cartellino giallo non c’è (lo dice l’IFAB) se interrompe un passaggio tra due compagni. Fermo restando che resta valida l’ammonizione per il comportamento antisportivo (tipo segnare una rete con la mano). La parola “plateale” nel regolamento inglese (l’unico e originale) non esiste. E di conseguenza dal 2013 è stata tolta anche nella traduzione italiana.

7. L’arbitraggio all’inglese

Il regolamento è uno, in Inghilterra, in Germania, in Italia. La media dei falli fischiati a partita tende a uniformarsi (verso il basso) in tutti il mondo per volontà della stessa FIFA. L’arbitraggio all’inglese è un retaggio del passato, gli arbitri italiani lasciano giocare tanto quanto i colleghi d’oltremanica. Al massimo il problema è culturale: avete mai notato che in Inghilterra il pubblico si esalta per un tackle mentre nei paesi latini si preferisce applaudire una finta o una trivela?

8. “Guardalinee, e tu che ci stai a fare?”

A parte che si chiama assistente e non guardalinee. L’assistente ha dei compiti precisi, tra i quali occuparsi del fuorigioco, della fuoriuscita del pallone, della segnalazione di condotte violente consumate. Ha anche il compito di segnalare dei falli nella propria zona di competenza, non certo quello di invadere la sfera di competenza dell’arbitro. Della serie: se l’arbitro è a due metri dall’azione e fischia rigore, inutile chiedere all’assistente di dire la sua. Anche la terna è una squadra.

9. “Ce ne sono 5 in fuorigioco!”

Sì, ma anche sei, o sette. Il problema è che se la prende l’unico che parte da posizione regolare, non è fuorigioco. Con le recenti modifiche alla regola 11 non ha più senso parlare del numero dei giocatori in fuorigioco. Conta solo chi gioca il pallone. O chi lo contende. Ma questa è un’altra storia.

10. “Dov’è la VAR quando serve?”

C’è chi pensa che la moviola possa essere utilizzata in maniera deliberata dall’arbitro, che provoca inevitabilmente l’interrogativo angosciante e pieno di risposte dietrologiche: «Perché la VAR non viene utilizzata proprio adesso?». Innanzitutto bisogna chiarire che il nome originale della tecnologia è “Video Assistant Referee” e nei documenti ufficiali della FIFA e della Lega Serie A viene abbreviato con l’acronimo “VAR”: in italiano quindi è più corretto dire “il Video Assistant Referee” o “il VAR”. Ma tralasciando l’uso degli articoli è necessario ricordare una volta per tutte che la revisione dei VAR si applica solo per quattro tipologie di episodio: l’assegnazione di un rigore, la convalida di un gol, i rossi diretti e i casi di mistaken identity (quando cioè l’arbitro ammonisce o espelle un giocatore per sbaglio). Più chiaro di così…

La redazione

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