Serra e gli errori attraverso i quali tutti siamo passati

Milan-Spezia, per Serra, sarà sempre un ricordo agrodolce.
Arbitrare a San Siro non è mai banale (ed infatti l’ho visto più volte solo da quarto ufficiale, mai da arbitro centrale): sono esperienze uniche come indossare la divisa davanti a settantamila spettatori (e questa esperienza, invece, l’ho vissuta più volte).
Nell’immediato dopo-gara, come spesso capita in queste circostanze, abbiamo dovuto leggere ed ascoltare di tutto: è il rovescio della medaglia dell’era mediatica, nella quale tutto viene amplificato, sia nel bene che nel male.

Marco Serra, trentanovenne arbitro della sezione di Torino, fino a lunedì era un arbitro poco conosciuto al grande pubblico, sebbene stesse per affrontare la terza presenza a San Siro, la seconda in questa stagione.
Della prima apparizione erano rimaste poche tracce perché Milan-Cagliari era finita 4-1 e senza episodi di particolare rilievo.

Milan-Spezia sarebbe probabilmente passata alle cronache come una gara arbitrata così così, con molta confusione tecnica e disciplinare ma priva di momenti di vera difficoltà: un passaggio al VAR per una svista sul rigore prima non concesso e poi assegnato per un fallo di Provedel su Leao, qualche fischio discutibile e nulla più.

Ed invece, per una serie di circostanze, al novantaduesimo minuto avviene un episodio che cambia completamente il senso della serata ed apre le polemiche: una norma del vantaggio non concessa, un pallone che si infila sotto la traversa (imparabile per il portiere dello Spezia), un calcio di punizione dal limite, la consapevolezza immediata di aver combinato un pasticcio, le scuse in campo.

Se il medesimo episodio fosse accaduto al ventesimo del primo tempo, se ne sarebbe parlato ben poco.

É accaduto qualcosa di simile (ma non uguale, sia chiaro) in Coppa Italia solo pochi giorni prima: il promettentissimo Ayroldi non concesse la norma del vantaggio, la Fiorentina si vide bloccato il contropiede per il possibile 3-1, passarono pochi minuti ed il Napoli ottenne il pareggio.

Nel dopogara e nei giorni successivi passa tutto sotto silenzio mediatico. Il motivo è presto detto: nonostante l’errore evidente, nei supplementari la Fiorentina vinse 5-2 e quel fischio diventa solo cronaca marginale.

A San Siro, invece, il fato confeziona non solo la pentola ma anche un coperchio di ottima forgiatura: lo Spezia parte in contropiede nei minuti di recupero e segna la rete che gli consegna una vittoria inattesa.

Nei giorni successivi si abbatte una tempesta mediatica sulla testa di Marco Serra, contornata da notizie sostanzialmente fake (le scuse dell’AIA al Milan) ed inutili ricerche sul passato dell’arbitro torinese.

Ma, alla fine, cosa è realmente successo?

Partiamo dalla questione più importante, quella associativa.

Nella sera stessa della partita si diffondono notizie su delle scuse che sarebbero state rivolte dall’Associazione al Milan.

In realtà, col passare delle ore, si scopre che tali scuse non sono mai arrivate. Le ricostruzioni meno frettolose accertano che, negli spogliatoi, il vice di Rocchi, Andrea Gervasoni, ha incrociato i dirigenti del Milan (come accade praticamente sempre prima del colloquio con l’arbitro e gli assistenti visionati) ed ha semplicemente ammesso la sussistenza di un errore.

Giusto? Sbagliato?

Diciamo umano.
Ammettere un errore non è certo una tragedia, solo chi non si muove mai dal divano di casa riesce a mantenere intonso il taccuino alla voce “ho sbagliato”. Al limite si può sbagliare a premere un tasto del telecomando ma, solitamente, non è un’azione che possa cambiare il corso di un’esistenza.

In passato sono stato anche io un arbitro effettivo.
E, come tutti gli arbitri, ho commesso degli errori.

Ricordo una partita a Palermo.

Finisce 0-2, arbitro Tagliavento.

Alla fine della gara ci troviamo fuori dagli spogliatoi in attesa del taxi che ci avrebbe portati in albergo. Si ride e si scherza, come è normale che sia anche dopo una partita.
Si avvicina un dirigente del Palermo che, infastidito, ci dice queste parole: “Voi ridete e scherzate, noi abbiamo perso una partita con il primo gol in fuorigioco”.

Aveva ragione. Non c’era il VAR e, pertanto, pochi centimetri potevano diventare un problema non risolvibile.

L’arbitro rispose semplicemente: “Non ce ne siamo accorti, se fosse confermato ci dispiace”.

L’incidente si chiuse esattamente in quel momento: il dirigente accolse la spiegazione senza ulteriormente proseguire nelle rimostranze e, anzi, ci accompagnò egli stesso in albergo.

Rimini-Avellino, dicembre 2004.

In diretta RaiSport si affrontano seconda e prima in classifica del girone B di Serie C/1, posticipo serale del lunedì.

A metà del secondo tempo l’Avellino, in svantaggio di una rete, entra in area di rigore. Scontro tra attaccante e portiere, fischio il rigore ed espello il portiere (al tempo non esisteva ancora la depenalizzazione in area). Il tempo di fischiare il rigore ed il pallone, lemme lemme, si infila nella porta vuota.

Caos.

Ovviamente avevo fischiato prima e non era possibile tornare indietro assegnando direttamente la rete: una tal decisione avrebbe aperto alla (legittima) ripetizione della gara per errore tecnico.

Rispetto a Serra fui più fortunato: l’Avellino realizzò il calcio di rigore assegnato, la partita si concluse sull’1-1, a fine stagione entrambe conquistarono la promozione in Serie B.

Ciononostante, non la scampai con Mattei, allora designatore della Serie C: sospensione di due settimane, rientro in C/2 per un mese abbondante e solo successivamente, dopo aver dimostrato di aver smaltito l’errore, ritorno nella categoria superiore.

Potrei citare altri episodi come questi: diversi tra loro ma che spiegano bene quel che può accadere in campo e fuori.

Capita, purtroppo, di sbagliare una decisione chiave.

Capita che, negli spogliatoi, ci siano confronti tra arbitri e dirigenti.

Capita che ci si dolga per un errore commesso sul terreno di gioco.

La reazione di Serra, però, ha portato ad un inatteso cambio di rotta in poche ore: dalle urla social e televisive della sera prima ad una comprensione dello stato di amarezza dell’arbitro stesso che, nell’immediatezza, si è reso conto di essere stato precipitoso, non concedendo un vantaggio nemmeno così complicato.

Molti si sono chiesti e mi hanno chiesto: ma come è possibile che un arbitro di Serie A inciampi in un episodio del genere?

La risposta è, al tempo stesso, facile e complessa.

La risposta facile è che la precipitazione, a volte, gioca brutti scherzi. Un arbitro deve essere pronto a fischiare subito un’infrazione per non dare mai l’impressione di intervenire a richiesta.

La risposta complessa è che, al novantesimo ed oltre, la lucidità può giocare dei brutti scherzi.

Ovviamente non sto affermando che Serra sia poco o mal allenato. Sto dicendo, al contrario, che Serra è un essere umano e che, dopo oltre un’ora e mezza di corse, scatti e decisioni, si può essere meno freschi e, pertanto, meno lucidi rispetto ai minuti precedenti. Non è certo un caso che, in molte circostanze, gli errori più evidenti accadano proprio nei minuti finali: un fischio sbagliato come una rete sbagliata da un attaccante od un rinvio mal riuscito di un difensore.

Ogni fatto eclatante, peraltro, porta con sé degli aspetti positivi e negativi.

Per una volta inizio da un aspetto negativo: l’AIA mi ha convinto poco per quanto concerne la questione “scuse”.

La notizia (se così vogliamo definirla) delle scuse dell’AIA al Milan si è diffusa a macchia d’olio tra redazioni e social nel giro di pochissimi minuti.

Per far sì che una notizia si dissemini ovunque ci vogliono pochi istanti, per far emergere la verità spesso non sono sufficienti settimane. E, in molti casi, non si riesce mai.

Ora, è stato chiaro fin dall’inizio che le supposte scuse erano una notizia priva di fondamento o, nel migliore dei casi, una ricostruzione fallace.

Basti pensare ad una circostanza: da un paio di mesi l’AIA ha nominato Giannoccaro come portavoce dell’associazione presso le società. Ciò non significa che il buon Danilo sia il ricettacolo di tutte le lamentele delle squadre.
Semplicemente il suo compito è di comunicare in veste di rappresentante dell’AIA, veicolando informazioni dall’una all’altra parte, incontrando i tesserati dei vari club ecc.

Questa figura è stata fortemente voluta dallo stesso Gianluca Rocchi perché, come è ben chiaro, non ama apparire. Oltre a non ricercare una telecamera od un microfono appena possibile (e questo in decisa discontinuità col recente passato), Rocchi è stato chiarissimo fin da subito: non avrebbe tollerato ingerenze (leggasi: telefonate da parte di dirigenti o tesserati in generale).
Peraltro posizione ridondante: gli stessi regolamenti impongono che non possano esserci (se non in occasioni pubbliche) contatti personali tra società ed arbitri.

Pensate, perciò, che Rocchi sarebbe così ingenuo da sentire un dirigente di società nell’immediato post gara, ben sapendo che, in quel momento, negli spogliatoi sono presenti decine di persone ed anche un’infinità di giornalisti?

Il ragionamento è semplice ma, come sempre capita, è molto più redditizio cavalcare una mezza notizia che approfondire quel che è realmente avvenuto.

Il problema è che, oggi, gran parte delle persone che hanno prestato attenzione alla questione nelle prime ore e poi abbandonato l’argomento sono convinte che l’AIA abbia effettivamente presentato delle scuse ufficiali ad una società. Atto che, inutile nasconderlo, sarebbe stato di una notevole gravità dato che ciò avrebbe rappresentato un precedente pericoloso: tutti si sarebbero aspettati, per ogni decisione erronea (e ce ne saranno, come ovvio che sia), le scuse dell’associazione.

Chiaro che ammettere un errore (come probabilmente accaduto) e porgere delle scuse sia ben differente, soprattutto per le conseguenze che un tale atto comporterebbe.

Perché, dunque, l’AIA non mi ha convinto in questa circostanza?

Il motivo è presto detto: mi aspettavo (rectius: speravo in) un comunicato ufficiale per smentire questa (non) notizia.

Purtroppo, invece, è andata come temevo: silenzio assoluto.
E’ un po’ il costume dell’associazione: di fronte a tali questioni la risposta è sempre del tipo “non rispondiamo a queste polemiche perché altrimenti dovremmo rispondere sempre”.

Ci sta, in linea generale.

Ci sta molto meno in casi come questo, in casi di notizie infondate che potrebbero essere di grave imbarazzo per tutto il movimento. Un comunicato ufficiale dell’AIA (che sarebbe stato ripreso da tutte le agenzie di stampa e, soprattutto, da tutti i quotidiani) avrebbe stroncato ogni voce in proposito.

Il silenzio in merito (al di là di precisazioni comunicate privatamente ad alcuni operatori del settore e che abbiamo visto riportate nel corpo di alcuni articoli) ha invece alimentato le certezze sulle scuse presentate.

Nella comunicazione mediatica c’è ancora parecchio da lavorare…

Di positivo, invece, c’è la decisione di Rocchi di non fermare del tutto Serra.

Nei giorni successivi alla gara di San Siro, ho ripetuto spesso che Serra non poteva sperare di trovare miglior designatore di Rocchi per gestire la questione.

Sono ben consapevole che qualcuno (soprattutto nel mondo AIA) storcerà il naso di fronte ad una simile affermazione ma la scelta del designatore di confermare Serra come VAR in Coppa Italia e riproporlo nello stesso ruolo in Serie B nel turno successivo non mi è spiaciuta per nulla.

Si dirà che, a fronte di errori anche meno gravi ed “impattanti”, altri arbitri hanno avuto trattamenti differenti.
Vero, ma è anche vero che non tutte le situazioni sono identiche: una sospensione tecnica per un atteggiamento sbagliato (esempio: confermare una decisione sbagliata nonostante una On Field Review) è molto più sensata di uno stop per un errore (sicuramente grave) ma immediatamente riconosciuto.
Allo stesso tempo non c’è nessuno meglio di Rocchi che possa comprendere quale sia la strada giusta per un completo recupero di un proprio arbitro: ricordiamo, infatti, che il designatore stesso ha attraversato una tempesta mediatica ben peggiore in occasione di Juventus-Roma nell’ottobre 2014 e che, da quel momento, è iniziata la fase migliore della sua carriera, coronata con un Mondiale, una finale di Europa League, un Mondiale per club ed un numero impressionante di big match.
Con questa affermazione non sto sostenendo che Serra avrà la medesima carriera (non sarà mai internazionale e non ha oggettivamente le caratteristiche di un top) ma è fuor di dubbio che Rocchi sarà perfettamente in grado di scegliere la strada migliore per un recupero in tempi medio/brevi.

Ciò non significa che Serra tornerà in Serie A nel prossimo turno (prima settimana di febbraio). Al contrario vedrà il campo (in Serie B) tra almeno due settimane abbondanti e dovrà dimostrare sul terreno di gioco di aver metabolizzato la serata di San Siro. Poi, piano piano, riprenderà confidenza con le gare adatte alla sua affidabilità, magari migliorando proprio sulla base della negativa esperienza vissuta. L’esempio più recente è Maresca: dopo la terribile direzione di Roma-Milan, ha ricominciato dalla Serie B, poi ha ritrovato la Serie A e sta arbitrando molto meglio rispetto all’inizio del torneo, dopo aver corretto la tendenza all’eccessivo utilizzo dei cartellini e ritrovando una certa tranquillità anche nel rapporto coi calciatori.

Il futuro?
Non sono un cartomante, non ne ho la minima idea.

Di certo c’è che Rocchi ha concesso e continua a concedere opportunità a tutti.

Starà a Serra riconquistarsi il posto al sole che si era guadagnato nel girone di andata di questa stagione.

Luca Marelli

Comasco, avvocato ed arbitro in Serie A e B fino al 2009, accanto alla professione si occupa di portare qualche spunto di riflessione partendo dal regolamento, unica via per comprendere ed interpretare correttamente quanto avviene sul terreno di gioco. Il blog prima, e il canale Youtube in seguito, nati come un passatempo, sono diventati un punto di riferimento per addetti ai lavori ed appassionati. Da questa stagione è talent arbitrale per DAZN.

(Foto Getty/Miguel Medina)

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